ARGILLA NERA DIPINTA DI ACIDO E DI RUGGINE / COTTA A 1100 GRADI
47 x 35 + 42 x 30 centimetri
maggio 2015
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breve nota sull’autoritratto fatto di resti
« tu eri me e io non lo sapevo » / martin buber, confessioni estatiche.
i miei lavori sono come delle canzoni, li penso sempre più spesso così. anzi, sono di sicuro delle canzoni. anche la struttura di questo sito internet è stata pensata per i musicisti, non deve essere certamente un caso se l’ho scelta, me ne sono innamorato seguendo jacob bro.
e così, se davvero questi lavori sono delle canzoni, non ne possiamo parlare troppo. le parole sono rischiose in tutti i casi, figuriamoci quando ci sono delle figure-musicali di mezzo. almeno non è il caso di parlarne adesso. come si fa poi a parlare di una figura-canzone? se non funziona peggio per lei e per chi l’ha scritta. infondo quello che faccio lo scrivo sempre in un modo o nell’altro. con l’argilla nera in questo caso; anzi, più che scrivere io mi traduco. traduzione dal me stesso. traduco dal passato, dal me che abitava la stanza di là.
ma alla fine qualcosa si può anche dire. ad esempio si può dire che questa figura si chiama così perché è stata fatta coi resti della creta che avevo utilizzato per tutte le altre fatte fino a quel momento. con il loro interno per essere più precisi. all’inizio modellavo le figure piene per poi tagliarle e svuotarle prima della cottura. adesso lavoro già il vuoto e infatti enzo è soddisfatto di me, mi ha anche detto che so farle stare in piedi o qualcosa del genere. ma soprattutto, una sera che stavamo cenando lì da lui, mi ha detto: «non si può parlare di bello e brutto nell’arte, si può parlare di qualcosa che contiene oppure che non contiene il sentimento. e in quello che fai te c’è». enzo cucina da dio, peccato che non riesce proprio a trattenersi dallo spiegare le barzellette.
volevo modellare una figura di uomo che contenesse dentro di sé una donna. la sera prima mentre stavo rivedendo un disegno che avevo fatto tempo fa avevo capito due cose, anzi una l’ho capita mentre l’altra l’ho fatta: ho capito che le donne di cassinari non hanno quattro occhi per loro vocazione surreale o peggio ancora per stile dell’artista, ma sono figure contenitori. e sono andato a guardarmi nello specchio.
poi quella mattina che si doveva imballare la grande scultura, ho pensato che avrei potuto fare anche la donna: un uomo che contiene una donna dentro di sé che guarda negli occhi una donna che contiene un uomo.
dentro di sé.